Materie radioattive escluse: questioni aperte

[pubblicato in Notiziario ANPEQ Settembre - Dicembre 2021]​

L’Allegato I dal D.Lgs. 101/2020, contenente la determinazione delle condizioni e delle modalità di applicazione delle disposizioni di tale decreto per le pratiche, tratta, al paragrafo 9 delle materie radioattive escluse dai computi previsti dai paragrafi 1, 2 e 3. Tra tali materie rientrano, ai sensi della lettera a) del paragrafo 9.1, “i radionuclidi derivanti dalla ricaduta di esplosioni nucleari nelle concentrazioni in cui sono normalmente presenti nell’ambiente” e, alla lettera b) del medesimo paragrafo, “i radionuclidi presenti in modo diffuso nell’ambiente a seguito di emergenze nucleari o radiologiche, che avvengano, o siano avvenuti, anche al di fuori del territorio nazionale”.

Al fine dell’applicazione pratica di tali norme, è necessario porre tre distinte questioni.

La prima questione è quella della definizione dei limiti quantitativi previsti dalla lett. a) del paragrafo 9.1 dell’Allegato I, dal momento che la norma non prevede alcuna tabella che definisca le concentrazioni in cui sono “normalmente” presenti nell’ambiente i radionuclidi derivanti dalla ricaduta di esplosioni nucleari, né rimanda ad alcuna fonte da cui sia possibile ricavare tali valori.

La questione non è di scarsa importanza, in quanto l’indeterminatezza dell’avverbio “normalmente comporta il rischio di effettuare a priori valutazioni, comportanti l’esclusione dai computi previsti dai paragrafi 1, 2 e 3 dell’Allegato I, che potrebbero, in concreto, risultare divergenti rispetto a quelle compiute, a posteriori, dall’organo di vigilanza e, successivamente, dal giudice penale. Non è chiaro, ad esempio, se l’avverbio “normalmente” vada inteso come relativo al valore medio della concentrazione o al suo valore massimo, né se, al fine di determinare l’estensione dell’“ambiente” cui si riferisce il valore di concentrazione, ci si debba riferire all’ambito nazionale, macroregionale (come definito nei rapporti ISIN sulle concentrazioni di attività di radionuclidi artificiali in matrici ambientali), regionale o provinciale.

Inoltre, come vedremo nel dettaglio esaminando la seconda questione, i dati ISIN non possono essere utilizzati come riferimento per l’esclusione dai computi previsti dai paragrafi 1, 2 e 3 dell’Allegato I prevista dalla lett. a) del paragrafo 9.1, poiché introducono sistematicamente una sovrastima del dato.

La seconda questione deriva dal fatto che il qualificare un radionuclide come rientrante nella fattispecie descritta dalla lett. a) o in quella descritta dalla lett. b) del paragrafo 9.1 dell’Allegato I comporta conseguenze pratiche rilevanti. Infatti, trovandosi di fronte a radionuclidi derivanti dalla ricaduta di esplosioni nucleari, è possibile escludere gli stessi dai computi previsti dai paragrafi 1, 2 e 3 dell’Allegato I solo qualora la loro concentrazione sia pari o inferiore alle “concentrazioni in cui sono normalmente presenti nell’ambiente”, mentre, nel caso di radionuclidi presenti in modo diffuso nell’ambiente a seguito di emergenze nucleari o radiologiche, tale limitazione non è presente.

All’atto pratico, quindi, è necessario distinguere, con ragionevole certezza, tra “i radionuclidi derivanti dalla ricaduta di esplosioni nucleari” e “i radionuclidi presenti in modo diffuso nell’ambiente a seguito di emergenze nucleari o radiologiche, che avvengano, o siano avvenuti, anche al di fuori del territorio nazionale”.

Ciò che rende particolarmente problematica tale distinzione è il fatto che radionuclidi come il cesio 137, costituente il più rilevante lascito della ricaduta delle esplosioni nucleari degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, sono  presenti in modo diffuso nell’ambiente anche in coneguenza del disastro di Černobyl del 1986. L’edizione 2020 del Rapporto ISIN sugli indicatori per le attività nucleari e la radioattività ambientale menziona il cesio 137, ma dichiarando che la sua presenza, a livello nazionale, deriva dai test bellici del XX secolo e dall’incidente di Černobyl, senza distinguere la quota derivante dalla prima fonte da quella relativa alla seconda fonte, creando rilevanti difficoltà applicative.

Infatti, è evidente che, riferendosi alla somma delle concentrazioni di cesio 137 derivanti dalla ricaduta di esplosioni nucleari e delle concentrazioni di cesio 137 presenti in modo diffuso nell’ambiente a seguito dell’incidente di Černobyl, i dati diffusi da ISIN non possono in alcun modo essere utilizzati per ancorare a un criterio oggettivo l’avverbio “normalmente” utilizzato nella lett. a) del paragrafo 9.1 dell’Allegato I, poiché così facendo si introdurrebbe una sistematica sovrastima delle concentrazioni di cesio 137 “normalmente presenti nell’ambiente” a seguito della ricaduta di esplosioni nucleari, con conseguente diminuzione dei livelli di protezione per la popolazione e per l’ambiente nell’applicazione di quanto previsto dalla lett. a) del paragrafo 9.1 dell’Allegato I.

Ciò ci conduce, di fatto, alla terza questione: è tecnicamente possibile distinguere quale percentuale della concentrazione di un radionuclide presente in una matrice derivi dalla ricaduta di esplosioni nucleari e quale invece da emergenze nucleari o radiologiche? E se lo fosse, tale distinzione apporterebbe vantaggi quantificabili o, almeno, descrivibili rispetto alle finalità descritte dall’art. 1 del D.Lgs. 101/2020?

Riguardo alla prima parte della questione è d’obbligo, per l’interprete, presumere che tale distinzione sia tecnicamente possibile, perché, in caso contrario, la distinzione di disciplina prevista per i casi di cui alle lett. a) e b) del paragrafo 9.1 dell’Allegato I sarebbe manifestamente illogica. Tuttavia, non è stato possibile reperire nelle pubblicazioni ISIN alcuna indicazione in merito.

Anche per quanto riguarda i vantaggi che tale distinzione possa comportare rispetto alle finalità descritte dall’art. 1 del D.Lgs. 101/2020 non è semplice formulare ipotesi esplicative, al punto che pare lecito supporre che non ve ne siano, mentre, come abbiamo visto, molti sono i problemi applicativi cui la distinzione in questione dà origine.

In conclusione, tenendo conto del fatto che l’escludere o meno materie radioattive dai computi previsti dai paragrafi 1, 2 e 3 dell’Allegato I può comportare, sul piano applicativo, conseguenze rilevanti dal punto di vista penale (ad esempio per violazione di norme relative al Titolo VI) sarebbe auspicabile che le tre questioni qui esaminate trovassero, da parte degli organismi preposti, congrua risposta.