La Corte di Cassazione torna sul ruolo di garanzia del RSPP: pur in assenza di una previsione normativa di sanzioni penali a suo specifico carico, può essere ritenuto responsabile, in concorso con il datore di lavoro o anche a titolo esclusivo, del verificarsi di un infortunio.
Il caso riguarda l’infortunio mortale di un operaio, rimasto schiacciato all’interno di un impianto di betonaggio, mentre stava eseguendo operazioni di manutenzione (consistenti nell’ingrassaggio delle pale) a causa del riavvio dell’impianto da parte di un collega, inconsapevole dell’intervento in corso. Dalle indagini svolte era emerso che il documento di valutazione dei rischi non contemplava affatto l’operazione quotidiana di ingrassaggio delle pale e, quindi, nulla specificava come tale intervento dovesse essere realizzato, né con quali dotazioni di protezione individuale, né con quali norme di sicurezza rispetto all’accensione dell’impianto. Conseguentemente il datore di lavoro, il direttore dello stabilimento e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione erano stati condannati per omicidio colposo sia in primo grado che in appello.
Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione ricorreva per Cassazione denunciando, fra l’altro, l’erronea applicazione degli artt. 17, 28 e 29 del Dlgs 81/08, relativi alla valutazione dei rischi lavorativi, e sottolineando in particolare la presenza, nel manuale di sicurezza da lui redatto, di un rimando alle procedure del manuale del sistema di qualità, nel quale erano contenute indicazioni e prescrizioni su come dovesse essere svolta l’attività di manutenzione dell’impianto.
La Cassazione Penale, Sezione IV, con Sentenza n. 34311 del 20 luglio 2018, ribadiva invece la condanna del professionista, precisando che “il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur in assenza di una previsione normativa di sanzioni penali a suo specifico carico, può essere ritenuto responsabile, in concorso con il datore di lavoro o anche a titolo esclusivo, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa, che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione”.
Nel caso specifico, l’argomento difensivo del professionista “comprova che l’imputato era pienamente consapevole del fatto che l’operazione di lubrificazione andava svolta quotidianamente e che, ciò nonostante, nel DVR e nei suoi aggiornamenti erano stati totalmente pretermessi i profili di rischio connessi allo svolgimento di tale attività, da sottoporre al datore di lavoro. Quanto al richiamo alle schede di qualità compilate dal preposto, è stato acclarato […] che queste avevano una diversa finalità, essendo volte a controllare la bontà del prodotto da consegnare all’acquirente all’esito della lavorazione, ma non attenevano ai sistemi di sicurezza dell’impianto né al loro periodico controllo. Il richiamo in ricorso all’auspicio di una integrazione tra sistema di sicurezza e sistema di qualità, di cui alla norma ISO 9001, non può portare certo all’accoglimento della tesi difensiva, dovendosi escludere che la detta raccomandazione possa superare il contenuto del DVR normativamente previsto dal d.lgs. n. 81/2008 e supplire alle carenze oggettive del caso di specie”.